1) Lo scouting dei fornitori integrato con la privacy e la security
Già da tempo, scegliere un fornitore non significa più soltanto fare una valutazione sulla sua affidabilità, competenza e competitività, ma, ove il fornitore sia inquadrato come Responsabile del trattamento, occorre anche accertarsi che lo stesso garantisca il rispetto della normativa privacy applicabile.
A norma dell’art. 28, par. 1, GDPR, infatti, si deve ricorrere “unicamente a responsabili del trattamento che presentino garanzie sufficienti per mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate in modo tale che il trattamento soddisfi i requisiti del presente regolamento e garantisca la tutela dei diritti dell’interessato.”
Pertanto, l’attività di “scouting” del fornitore deve includere anche una fase preliminare finalizzata alla verifica del livello di compliance privacy (e quindi anche security) del fornitore stesso.
Tale verifica preliminare non è sufficiente per proseguire nel tempo la collaborazione: occorre, infatti, ad intervalli di tempo (in genere, almeno una volta l’anno) o quando vi siano dei mutamenti normativi/giurisprudenziali o potenziali rischi privacy, valutare se il fornitore continui a fornire le garanzie richieste e adempia a quanto previsto contrattualmente.
I criteri di audit possono essere: normativi (come: GDPR, Codice Privacy, standard internazionali; ecc.); contrattuali (ad esempio, impegni assunti dal fornitore e/o con i clienti finali); procedurali (ad esempio, la procedura di data breach dell’auditato).
Quanto alle modalità, tali verifiche possono essere documentali, tramite la compilazione di questionari, on site (presso gli uffici del fornitore) o da remoto.
2) Hot topics
Gli sviluppi normativi, giurisprudenziali e, perfino, l’attualità hanno un impatto notevole anche sugli audit privacy.
Ad esempio, dopo la sentenza Schrems II della Corte di Giustizia Europea del 16 luglio 2020, un tema bollente è quello dei trasferimenti di dati personali verso gli USA.
La sentenza, invero, invalidando il Privacy Shield, di fatto, mette in discussione tutti quei Responsabili stabiliti negli Stati Uniti, tant’è che anche big come Facebook (Meta) hanno recentemente accennato al fatto che potrebbero chiudere alcuni loro servizi in Unione Europea. Neppure la conservazione dei dati personali in data center situati in UE potrebbe, infatti, assicurare i dati personali dei cittadini europei da richieste di accesso da parte del governo americano.
I numerosi attacchi hacker, anche ad istituzione governative, dopo l’invasione dell’Ucraina, sono, invece, un esempio concreto di come l’attualità incida anche sulla valutazione dei fornitori. A seguito di tali episodi, è emersa l’esigenza di assicurarsi che i fornitori siano pronti a mitigare i potenziali rischi cyber rinvenienti.
3) Sanzioni
Il mancato rispetto delle norme del GDPR, oltre a conseguenze sul fronte contrattuale, nel caso in cui ciò si traduca in una violazione di impegni assunti nei confronti del Titolare del Trattamento, può condurre a sanzioni amministrative.
Così, ad esempio, la selezione di fornitori che non presentano garanzie adeguate e la mancata sottoscrizione del DPA (Data Processing Agreement), in quanto violazioni dell’art. 28 GDPR, possono comportare sanzioni sino a 10 milioni di euro o pari al 2 per cento del fatturato annuo.
Ancora, le violazioni delle norme sui trasferimenti di dati personali (artt. 44-49 GDPR) comportano l’applicazione della categoria di sanzioni più gravosa, fino a 20 milioni di euro o pari al 4 per cento del fatturato annuo.
Per citare un caso concreto, lo scorso settembre il Garante per la protezione dei dati personali italiano ha comminato a una nota Università italiana una sanzione di euro 200.000,00, per essersi avvalsa di un Responsabile con sede negli USA e perché il trasferimento basato sul Privacy Shield, poi sostituito dalle Standard Contractual Clauses, in assenza di misure aggiuntive, doveva ritenersi invalido.